Leontopodium Alpinum "STELLA ALPINA"
Foto scattata sulla "Croda del Becco" Lago di Braies 2008.
DESCRIZIONE :
Il Leontopodium Alpinum è una pianta erbacea alta tra i 5 ed i 20 cm, con fusto fiorale semplice, tomentoso tendente al bianco, foglie intere, le radicali sono oblungo-lanceolate. le superiori più strette lanceolate-lineari, tutte ricoperte di fitta peluria bianca soprattutto sulla lamina inferiore. I fiori sono costituiti da piccoli capolini globosi, ragruppati in corimbi di 2-10 fiori, contornati da 5-9 brattee foliacee di colore bianco cotonoso. Il frutto è un achenio.
LEGGENDA LEGATA ALLA STELLA ALPINA :
Molti e molti secoli fa, quando quelle meravigliose montagne, chiamate oggi Dolomiti, emersero dalle acque che a quei tempi sommergevano buona parte del nostro globo, scesero sulla Terra delle Creature favolose fatte di fumo e di nebbia, di lembi di nuvole e di arcobaleno.
Erano gli Spiriti-delle-Cose-non-create che cominciarono a dar forma e vita agli alberi, alle erbe, ai fiori.
Gli alberi si moltiplicarono in poco tempo e ricoprirono molte zone sotto le pendici di quelle montagne. Erano abeti, larici, pini. Sulle colline nacquero le betulle e il sorbo, il frassino e il castagno. Le erbe formarono immense distese di prati lussureggianti, che discendevano dai ghiaioni fino alle piane in dolci declivi o arditi pendii. I fiori spuntarono: nei boschi c’erano i piccoli garofani cremisi e i ciclamini, nei prati anemoni gialli, clematidi viola, primule bianche e colchici lilla. E fiori spuntarono nelle paludi: erano giaggioli, gladioli, narcisi…
Altri ne nacquero sulle rive dei laghi e sugli specchi d’acqua, come le ninfee bianchissime e i nannufari gialli. Ancora spuntarono le aquilegie, le pulsatille, le peonie e i papaveri alpini. E moltissimi altri dai colori delicati e luminosi.
Sotto le ultime rocce ecco prosperare i primi “baranci” o pini mughi. Accanto sorsero gli arbusti dei rododendri color rosso, i raponzoli di roccia e le meravigliose genziane turchine. Cosi ogni cosa ebbe il “suo” fiore e le genti che vivevano in quelle vallate fra le montagne ne godettero e ringraziarono il cielo e la natura.
Ma in mezzo a tutte quelle meraviglie c’era qualcuno che soffriva in silenzio: era la Grande Montagna di Lavaredo, nuda e dirupata, scanalata da lunghi camini verticali nei quali colavano le gelide stille dei ghiacciai perenni, tagliata orizzontalmente dalle cenge e scarnita dalle acque in orridi strapiombi…
Solo le sue pareti altissime, spesso lisce e diritte come pale, riflettevano la luce del sole che alla sera le accarezzava con gli ultimi raggi infuocati. La Grande Montagna allora sembrava diventare trasparente come cristallo, diafana come un lembo di nuvola…
Ma quella straordinaria carezza del sole non poteva renderla felice. Essa ammirava dall’alto i sottostanti pianori verdi, rigogliosi e fioriti, le fitte abetaie, i laghetti verdazzuri…
Ognuna di queste “cose” possedeva un “fiore”! Perfino la neve ne aveva uno: un timido fiorellino bianco, a forma di campanellino chiamato Bucaneve, che all’inizio della primavera forava quella bianca coltre per emergere diritto e luminoso.
La Grande Montagna cominciò a lamentarsi: “A cosa serve essere cosi alta e imponente se la natura non mi vuole donare neanche un piccolo fiore? Le mie rocce sono aspre, nude, scarnite e tristi… Se la Terra non si vuole ricordare di me, io mi rivolgerò al cielo!”.
E nella notte profonda essa tentò di raggiungere la cupola del cielo per prendere almeno una stella che adornasse le sue rocce così cupe.
Invano!
Le stelle brillavano misteriosamente nel cielo turchino, troppo lontano, e la Montagna si sentiva sempre più triste e si lamentava con la voce del vento che vorticava attorno alle sue alte cime. Allora le slavine scendevano a valle, i macigni ruzzolavano dalle sue pareti scabre e tenebrose rimbalzando con cupo rumore di roccia in roccia, la tempesta scendeva in lunghi rivoli d'acqua in un diluvio di lacrime.
La udì finalmente il vento del Nord, che riportò i suoi lamenti alla più bella delle Fate: Samblàna, che viveva da tempo lontanissimo fra gli spalti delle Dolomiti.
La Fata comprese l’angoscia della Grande Montagna e una notte si levò nell’alto del cielo per cogliere una stellina lucente.
Presala delicatamente fra le sue dita, ella si diresse verso la più alta vetta delle Tre Cime di Lavaredo e la depose fra le rocce. Poi la toccò e la trasformò in un meraviglioso fiore stellato, dai petali vellutati, bianco come la neve, e la chiamò “stella alpina”.
Così la Grande Montagna ebbe anch’essa il suo magnifico fiore!
In seguito le “stelle alpine” si moltiplicarono; nacquero sulle Crode, sugli spalti rocciosi, sui picchi inviolati…
E diventarono i fiori più pregiati delle Dolomiti.
LEGGENDA LEGATA ALLA STELLA ALPINA :
Secondo una leggenda proveniente dalle Alpi svizzere, tanto tempo fa viveva in un paesello alpino una bionda fanciulla di nome Edelweiss, bella come mai se n’erano viste, e talmente pura e nobile che, sebbene fosse tanto amata e desiderata da molti cavalieri, non riuscì mai ad offrire il suo amore ad alcuno di essi, perché non trovò mai un giovane che fosse degno di stare al suo fianco.
Così visse in solitudine per tutta la vita, e quando morì le graziose Fate la condussero fino alla cima innevata delle montagne più alte, fra i ghiacci trasparenti e le rocce levigate dai venti, e qui la trasformarono nella purissima stella alpina, che rimane inaccessibile ed intoccabile dalla mano di qualsiasi uomo.
Si dice che solo un giovane dall’animo nobile e luminoso, sospinto da amore vero, coraggio e ardore, possa raggiungere questo delicato fiore, e coglierlo. E forse, colui che vi riuscisse, potrebbe incontrare la bellissima fanciulla, ed essere benedetto dalla felicità e dalla gioia del suo Amore.
A ricordo di questa storia, ancora oggi fra gli svizzeri il detto “cogliere Edelweiss” significa raggiungere il più alto e nobile onore che un uomo possa ottenere.
INFINE...
Come si può forse intuire da queste bellissime leggende, la stella alpina dai petali color della neve simboleggia la più alta e lucente nobiltà, la purezza dell’anima che si è resa inattaccabile da qualsiasi oscurità o bruttura, e si è elevata al di sopra di esse.
Avvicinarsi al suo candore, ovvero rendersi ad essa sempre più simili, significa camminare verso il raggiungimento della vetta, verso il termine del lungo viaggio di coloro che, dopo aver percorso le antiche vie invisibili che valicano le montagne, ritrovano uno stato d’essere limpido, luminoso e incorruttibile.
E si potrebbe pensare che questa graziosa piantina suggerisca, a chi la voglia ascoltare, di distaccarsi poco per volta dalle cose solamente materiali, arrampicandosi sempre più lungo le stradine ripide e scivolose che portano ai regni sottili, dove lei vive.
La nobile stella alpina, infine, è il fiore sacro alle Fate dei ghiacciai, che la colgono dal cielo notturno per donarla alla terra e far fiorir le montagne.
Nessuno può sfiorarla, a meno che non si sia disposti a conoscere la morte per poterne raccogliere un unico, morbido fiore bianco… come una liquida goccia d’acqua lattiginosa che dona tutta la felicità che un mortale possa sognare.
Chi la coglie, è degno dell’Amore di una Dea.
Io dico...CHI LA COGLIE E' UN GRAN BASTARDO !!!